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l’amicizia e all’amore. A Giacomo era grande consolazione l’amicizia del Giordani e istanti felici nella sua vita travagliosa furono quelli nei quali amò e credette d’essere amato. Spesso un sorriso di donna o una parola benevola d’amico, è medicina agli uomini stanchi della vita, già suicidi nell’animo. Più l’uomo si sente solo e più desidera il compagno; e più invoca la morte e più desidera la vita. E mi spiego così i delirii del suo primo amore punto esagerati, com’è memoria nella sua famiglia e l’impressione che dové far su di lui la tessitrice divenuta più tardi il tipo della Silvia e della Nerina. Secondo che si narra, essa era Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di famiglia e cresciutagli in casa. La stanza ove ella tesseva era dirimpetto a quella di Giacomo. Fanciulla carina, ridente, che tesse e canta, e s’orna nel dì di festa, e mira ed è mirata, e danza e gode: tipo di fanciulla frequentissimo soprattutto nei piccoli paesi. Quella voce s’insinuava nell’orecchio del solitario e malinconico giovane e gli scendeva nel cuore, ed a poco a poco non poté star senza di lei. Si parlarono, si giurarono fede, amore puro in lontananza. Figurarsi il conte Monaldo col suo blasone e i suoi antenati! Oibò! Uso a premere sulle inclinazioni del figlio, di cui voleva per forza fare un abate, gli mutò stanza senza poter mutargli il cuore. Questo affetto gli procurò momenti deliziosissimi di tregua, ne’ quali ricuperò la facoltà di sentire la natura e di amare la vita, e di spargere il cuore e di muovere la fantasia. Quel suo plumbeo umor nero, che si chiama la tristezza ed è infecondo, si sciolse in una malinconia piena di dolcezza e di grazia. A questa felice disposizione dobbiamo gl’Idillii scritti nell’anno appresso e pubblicati solo nel 1820. Erano sei tra’ quali un frammento della Cantica della morte che intitolò lo Spavento notturno; di cui abbiamo già detto, composto prima e in quell’anno probabilmente rifatto. Rimangono altri cinque, e sono l’Infinito, la Luna, la Sera del dì di festa, il Sogno, la Vita solitaria.
L’idea e il nome gli venne naturalmente dagli idillii greci, lui traduttore degli idillii di Mosco. Il quinto idillio di Mosco ha una visibile parentela con l’Infinito perché il giovane che contempla l’infinito, e vi si sente dolcemente naufragare, ricorda quel pastore che sente tanta dolcezza all’ombra di un platano chiomato e al mormorare del rivo. Anche parecchi concetti degli idillii greci qui rivivono. Ma la sostanza è diversa. Qui abbiamo un primo contenuto, proprio del Leopardi, il primo sguardo ch’egli gitta sul mondo.
Cap. XI, p. 86 rr. 27-28: «tu non lo trovi quasi che in solo questo giovane», Ro «tu non lo trovi che in solo questo giovane». P. 92 r. 6: «Sono stonature, qualche passaggio», Ro «Non di meno qualche passaggio»; ivi r. 9: dopo «petto» Ro ha: «ci dicono che siamo ancora ben lungi dalia perfezione»; ivi rr. 18-24: