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Da questo punto il testo è uguale a quello del capitolo IV da p. 22 r. 11 a p. 24 r. 18 (tranne tre varianti riportate da noi fra le varianti del capitolo IV). Poi il testo dei giornali passa a p. 25 r. 11 della nostra edizione, e di qui continua uguale sino a p. 29 r. 13, dove troviamo il seguente brano che non compare più nel manoscritto:

E perché la critica venga da Leopardi stesso prendete la Batracomiomachia rifatta, e vedrete le sue correzioni tendere appunto a dar colore e rilievo a quel primo lavoro giovanile che è la Batracomiomachia volgarizzata anche in quest’anno. Prendiamo l’arringa di Gonfiagote, il re delle rane:

Calmate, rane mie, questi timori.


Verso cascante, volgare. C’è la cosa, non c’è alcuna impressione. Leopardi corresse:

Zitto, ranocchie mie, non piú timori.


Qui c’è lo stesso senso, e c’è ancora la concitazione e il tuono imperatorio dell’oratore, appena giunge tra quella folla clamorosa.

Gonfiagote continua:

Ben so che un certo sorcio impertinente
il navigar di noi d’imitar vago,
gittossi in acqua si affogò nel lago.

Lascio stare lo stento del secondo verso, ma qui c’è la semplice esteriorità del fatto. Leopardi corregge.

So ben che certo sorcio impertinente,
navigar presumendo a nostro modo,
altro non gli riuscì che andar nel brodo.

Dove si vede l’intenzione nell’oratore di mettere in ridicolo la presunzione del sorcio e il modo di sua morte.

Il giovane traduttore dice:
Armiamoci noi pur: del loro ardire
fra poco in campo li farem pentire.

E l’uomo maturo corregge:

Corriamo aitarmi; e di suo cieco ardire
vi so dir che il nemico hassi a pentire.