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dai manoscritti di avellino | 303 |
salute andava migliorando, sì che poté senza grave incomodo tornare a Recanati. Tornava con gli stessi princìpi sul mistero e sul dolore universale; e con la stessa puntura della sua infelicità particolare. Ma tornava con lo spirito poetico rinnovellato, con una forza di immaginazione riproduttiva, e gioiosa nella riproduzione, atta a rintuzzare la punta del dolore, e a riempiere la sua infelicità di luce e di amore. Rivedendo il palazzo dei suoi antenati, e le stanze dello studio e della malattia, e quella finestra già così animata, e quel cielo, e quei lontani orizzonti, gli batté il cuore, e una folla di immagini lo assediarono, e in quel tumulto scrisse le Ricordanze. Qui ci è una copia e una ricchezza di forme per entro a cui s’insinuano gli accenti più appassionati. Mai forse il poeta si era espresso con tanta espansione e con colori così pieni di luce, sicché la poesia rassomiglia più ad un inno che ad una elegia. La stessa Nerina sembra che danzi e si rida in questa evocazione del passato, avvolta e trasfigurata in mezzo ad immagini luminose e gioiose.
Leopardi tornava a Recanati con l’animo di chi va a chiudersi in una prigionia perpetua. E fa sentire i suoi lamenti a tutti gli amici suoi, soprattutto alle pietose ed affettuose figlie di Tommasini in Parma. Lo stato dei suoi occhi era tale che di lavori pazienti e da schiena non era più a pensare, e lo Stella non gli poteva più essere utile. Gli trovarono una cattedra di storia naturale in Parma; ma il clima lo spaventò, e anche certe condizioni gli piacquero poco. Meglio riuscì il generale Colletta a Firenze, che fece pratiche con gli altri amici del povero poeta, e ottenne che il Piatti facesse una nuova edizione dei suoi Canti. Gli associati non sarebbero mancati, e così poteva il poeta avere di che sostenersi in Firenze parecchio tempo; al poi si sarebbe pensato. A Leopardi non sembrò vero di potere uscir di gabbia, accettò tutto, e prese il volo verso Bologna e Firenze.