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«la vita solitaria» | 297 |
quella morte universale. Ecco l’immobilità di Leopardi, assorbita nella immobilità universale, e in un di que’ silenzii, in quella profondissima quiete, che un giorno gli rivelarono l’infinito, lo stato della natura quando non ci era ancora la vita. Tutto questo è detto con una felicità di forma, con una finitezza e semplicità di espressione, come nell’Infinito e nella poesia Alla luna:
Talor m’assido in solitaria parte, |
Ecco la lettera diventata poesia.
E quando il poeta, travagliato da una malattia simile, «ferreo sopore», non è più carne, ma masso, «umor plumbeo», quando il poeta ha innanzi quella malattia, quella condizione di animo che lo condanna all’immobilità, e gli sorge l’idea che quella è la sua situazione normale, questa idea gli avvelena tutto il godimento della natura. E se vede la gallinella batter le ali e il sole indorare la pioggia, ad un tratto pensa che la natura gli faceva una volta goder sempre quella felicità, che ora è un istante, e che dovrà tornare a Recanati, e non gli resta che suicidarsi. Se il suo core si commove e palpita alla vista di una bella giovinetta, o a sentir un canto, che viene da una stanza