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296 | giacomo leopardi |
venire un sospiro e la facoltà del piangere. Nella sua immobilità deplorava non poter più piangere e sospirare. Ecco la tela di ciò che chiamo il luogo comune di questa poesia, il paesaggio. E certo non tutti i paesaggi son qui di eguale bellezza, né sempre la forma è adeguata al paesaggio. Ma l’originalità è che quella che il poeta rappresenta come felicità della vita campestre, per lui è un istante di felicità, avvelenata dal pensiero che è un istante, che quello è un sollievo momentaneo, e dopo, tutto tornerà come prima. E il solo pensiero lo fa già ricadere nello stato di prima. Per avere un concetto di quel tarlo, che rode la felicità della vita campestre e la riempie di tristezza, ricordate la malattia alla quale si riferisce la Vita solitaria. Scrivendo a Giordani il 19 novembre 1819 dice:
Sono così stordito del niente che mi circonda, che non so come abbia forza di prendere la penna per rispondere alla tua del primo. Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere né muovermi, altro che per forza, dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte; non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo, e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell’animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch’è un niente anche la mia disperazione.
Questo vi commove, ma non è ancora poesia. Leopardi, scrivendo, pensa alla vita campestre, ricupera la facoltà di amare la natura, si scioglie dal plumbeo, e acquista la forza di trasformare in poesia quelle parole. Chi di voi, stando in campagna, non ha sentito l’impressione del mezzogiorno, sotto un sole ardente, quando la natura è come morta, non s’ode più stridere cicala, né sussurrare il vento, né moversi foglia od erba? E voi stessi vi sentite colpiti di quella immobilità, vi sentite parte di