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se la riproduzione è infedele, anche bellissima, lode a lui come artista, biasimo a lui come critico. La sua produzione è bella, ma non vera. È una costruzione arbitraria, come avviene spesso quando si lavora con la sola intelligenza.

L’intelligenza, quando lavora, è tirata da due istinti fatali, che trascinano i più eminenti; anzi sono i più grandi quelli che vi sono più sottoposti. Chi lavora con la intelligenza pensa, anzitutto, a trovare l’unità, va in cerca d’un concetto unico che gli spieghi tutto quel mondo poetico, fa come i metafisici che non possono spiegarsi l’universo se non cercano un primo, che sia presente in tutte le parti. E poi, una volta che credono averlo trovato, non sono più liberi, sottostanno all’altra legge fatale, poiché, essendo l’intelligenza solamente logica, trovato l’uno, non possono far altro che da quello derivare logicamente il resto; e all’ordine cronologico naturale sostituiscono l’ordine logico, il modo secondo cui quell’uno si va svolgendo nel loro pensiero. Questa è la critica «a priori»; unità di concetto che non tiene conto delle differenze, un ordine logico che non tiene conto della realtà.

Ad esempio, citerò lo stesso Giacomo Leopardi, che, quando aveva trentasei anni e non creava più, ma esaminava quel che aveva creato; quando quel mondo, che gli si era successivamente formato con le vicissitudini della realtà, lo ebbe innanzi tutto intiero e poté esaminarlo, la sua intelligenza non poté sottrarsi alle due leggi fatali. Come Tasso, fatta la Gerusalemme, credé trovarvi l’allegoria cui non aveva mai pensato, e spiegò quelle avventure con certi criterii morali; Leopardi, esaminando il suo mondo come un tutto già formato, credé di trovarvi un concetto unico, che gli spiegasse tutto, e che, chi consideri la sua vita, non sempre gli era stato innanzi. E poi, altra fatalità, lo spiegò con l’ordine logico; e lui che meglio di tutti sapeva il tempo che compose le sue poesie, travolse l’ordine e ne scelse un altro, derivato da quel concetto.

Pensai questo, quando vidi l’edizione napoletana dei suoi Canti, pubblicata da Antonio Starita, che aveva ordine diverso dalle altre.