E prova, e crede di provare che
Mosco e
Teocrito sono non uno stesso poeta, come pare a taluni, ma due persone distinte, e che Mosco, se non fu di Siracusa, fu certo di Sicilia, e discepolo di
Bione e contemporaneo di Teocrito. Poi numera le edizioni e le versioni di Mosco, fermandosi alquanto sulle francesi e le italiane, e dicendo solo i nomi delle tedesche, che probabilmente non aveva innanzi. È difficile trovare qualcuno che abbia parlato di Mosco, e non sia ricordato qui. L’autore sa tutto, ha
cercato tutto.
Sopra lavoro si abbatte nel signor Poinsinet, e non lo lascia più, gli fa una pettinatura di santa ragione. Questa è la parte brillante del lavoro, e gli dà un sapore di vita contemporanea. Ora usa l’ironia, ora il sarcasmo, ora anche l’impertinenza. Non sai se è disprezzo o compassione: è tutto questo insieme, con un vero crescendo. Ma che male gli ha fatto questo povero Poinsinet? Che grande uomo era costui, oggi dimenticato? Valeva la pena ch’egli lo caricasse e una, e due, e tre volte, sicché a varie riprese se la piglia con lui? Sì è che, caricando lui, carica sé, fa il suo ritratto. Si vede nel giovane, dottissimo e conscio del suo sapere, un gusto matto di aver incontrato sulla sua strada quel tale, con tanta ignoranza di greco congiunta con tanta presunzione, e si mette in cattedra e gli fa una lezione e lo schiaccia col suo sapere, lui, un giovanetto di diciassette anni, che ha studiato senza maestri e ne sa molto, ma molto più del signor Poinsinet, letterato celebre, autore di un libro che ha avuto quattro edizioni, e per giunta un accademico. E come ci s’incapriccia! Non gli basta Mosco, piglia Anacreonte, e lo sbatte sul viso al malcapitato. — Tu hai voluto parafrasare Anacreonte! Ma una parafrasi di Anacreonte è un mostro in letteratura. E poi una parafrasi alla francese! Ah! tu non sei che un dicitore di bons-mots, un greco vestito alla parigina, o piuttosto un parigino vestito mostruosamente alla greca. — Così quel Poinsinet diviene il protagonista, e il giovane letterato dá sfogo a quel po’ di vanità che aveva in corpo, a una naturale ostentazione del suo sapere e anche a un certo disgusto innanzi a quella