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264 | giacomo leopardi |
materia, che della fede o della ragione. Leopardi aveva in molta reverenza il Tommasini, e si sentiva stretto verso il Puccinotti di un affetto uguale all’ammirazione.
Questo era quello stato tollerabile ed ordinario di vita, che egli chiama indifferenza filosofica. L’ambiente contrario in mezzo al quale viveva, quelli studi statistici, quelle teorie di progresso, quelle vanterie patriottiche, lo trovavano triste o ironico, con qualche sforzo mal riuscito di buon umore. Si deve a questo stato psicologico l’ispirazione dalla quale uscì la Palinodia. E forse in questo tempo concepiva e abbozzava i Paralipomeni, ai quali metteva mano più tardi. L’indifferenza era quella quietudine che nasce da uno stato di cose tenuto inevitabile, effetto dell’assuefazione e della prostrazione morale. È la sorte spesso dei vecchi, che lasciano correre le cose così come vanno, conservando in sé le antiche opinioni, senza colore e senza efficacia. E Leopardi in verità era invecchiato sotto il peso della sua tristezza. In quello stato di apatia morbosa, che egli chiama indifferenza, il suo intelletto rimane solitario e come ripiegato in sé in un ambiente non simpatico, anzi contrario.
Questa era la sua individualità e originalità, che lo rendeva singolare dalle genti. Il suo risorgimento non mutò il suo essere dirimpetto a questo mondo esteriore; ma gli dava la forza di allontanarlo da sé, come cosa estranea, e rimanere concentrato in quel solitario suo pensiero, che tornava a vivere innanzi alla sua immaginazione; ritornava l’antico «io» con quel suo cuore di una volta. Risorto dalla sua apatia, riacquistata la facoltà di immaginare e di amare, si sentì redivivo al cospetto del Fato e della Natura, con quell’amore dei campi, con quel bisogno di amare e di fantasticare, con quel dolore della speranza scomparsa e della giovinezza spenta, da cui erano usciti gl’Idillii. La società, in mezzo a cui era vissuto, non lasciava traccia nel suo spirito; gli era passata innanzi come ombra. Di vivo, di presente non c’era che lui co’ suoi ideali, e l’universo coi suoi misteri. Risorto era il poeta dell’Infinito e del Sogno e della Sera; nessun vestigio rimaneva più del poeta delle Canzoni. Tutto quel moto di erudizione e di patriottismo, che lo aveva tirato fuori