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xxxv. «il risorgimento» | 255 |
risorto in lui? La facoltà di sentire, di cui parlava a Jacopssen, o, come ora dice, il cuore. E perché la vita non è a suo avviso altro che facoltà di sentire, d’immaginare, d’amare, è in lui risorta la vita; si sentiva morto, ora torna a vivere. E canta la risurrezione della sua immaginazione, del suo sentire.
Risorgono i dolci affanni, i teneri moti della prima età; rivede la bella natura, così come la vedeva allora, inesperto delle cose; e ora, malgrado l’esperienza della vita e la vista della verità, sente con maraviglia in sé «rivivere gl’inganni aperti e noti». Questa rappresentazione del suo nuovo stato acquista rilievo da quello stato di sopore, ove le stesse cose gli comparivano innanzi morte. Ed hai una rappresentazione, in antitesi, della natura, così come compariva a lui in quel doppio stato, morta e viva.
Queste cose non le dice già con quel disordine, con quella veemenza, con quell’improvviso ch’è la parola dell’entusiasmo giovanile. Ha racquistato i moti e i sensi della gioventù, ma non l’ingenuità di quella; ora sa troppo, e parla con ironia della sorda Natura che pure allora benediva:
Purché ci serbi al duolo, |
Il suo piacere non è puro e non è intero. Qui non c’è l’inno e non c’è l’ode. Il piacere è contenuto dal sapere, dalla presenza del vero, che vi apparisce come fosca nuvola in cielo sereno; con questo, che la nuvola qui è l’immutabile verità e il cielo è la mutabile apparenza. Che importa? Se l’apparenza dura, non chiamerà spietato l’autore della vita. Non è una riconciliazione, è una concessione. Consente solo di non chiamarlo spietato, e «sub conditione», «se».
La situazione poetica non è nel primo momento dell’entusiasmo, quando egli si sente rivivere, ma in un momento posteriore o di riflessione, interrogando sé stesso, riandando la sua vita, e descrivendo e spiegando il nuovo uomo che s’è formato in lui.
Perciò la poesia prende una forma storica e riflessiva. Non si dipinge egli nel punto che piange e ammira e il cuore gli batte.