Pagina:De Sanctis, Francesco – Giacomo Leopardi, 1961 – BEIC 1800379.djvu/26

20 giacomo leopardi

che s’insinua in quella materia, e la mescola e l’intorbida e le scema coesione e consistenza.

Né questo gli viene già da un ambiente europeo, come fu il caso del Manzoni. Egli ignora Chateaubriand, Fichte, Schlegel, Stäel, De Maistre, tutto quel gran moto ideale, da cui era uscito il nuovo secolo. Egli ignora anche Voltaire e Rousseau, i grandi colpevoli del secolo decimottavo, ch’egli maledice per abitudine e per imitazione. Pure, c’era l’aria infetta, che aveva portata l’epidemia fino nella sua piccola provincia; per là era passata la rivoluzione e ci aveva lasciato un nuovo clima morale, sì che gli uomini più pacifici e più abbarbicati al passato usavano senz’avvedersene il suo linguaggio, e la stessa reazione per combattere Napoleone prendeva aria di liberalismo cristianizzato, e predicava libertà ed eguaglianza, e declamava contro la tirannide. Questo spiega la naturale e spontanea elaborazione di tali idee nello spirito semplice del giovinetto.

In questo tempo egli doveva aver concepita una grande opinione di sé. Le sue infinite conoscenze, la sua perizia non ordinaria delle lingue classiche, gli elogi che gli venivano da Roma e di uomini celebri, il successo clamoroso delle sue recitazioni pubbliche generavano in lui la credenza d’essere già un piccolo grand’uomo. Entrava nella vita con aria di maestro, disposto a far la lezione a tutti, e guai al primo che gli capiti sotto! Nella sua presunzione si sentiva lieto, contento di sé, e guardava sicuro nell’avvenire.