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xxxiii. a firenze 247


Ripartì lo Stella per Milano, recando seco come trofeo la Crestomazia, alla quale non mancava altro che la prefazione. E Leopardi co’ dodici scudi nell’immaginazione, tutto lieto andò nella sospirata Firenze.

Viaggio ottimo. Ma appena giunto, quel suo «brutto mal d’occhi invece di migliorare peggiora», e lo costringe «a stare in casa tutto il dì, senza né leggere né scrivere», e non può uscir fuori «se non la sera al buio, come i pipistrelli». Aggiungi un mal di denti, che lo tiene inquieto: «la malinconia che mi dà questa sciocchezza da un mese in qua, non è credibile». L’operazione chirurgica gli sta sempre nel pensiero, «come una condanna da eseguirsi», e che lo «spaventa come un ragazzo». Ma questi suoi incomodi, ch’egli dice senza conseguenza, non gli impediscono di scrivere alla sorella il solito «grazie a Dio, sto bene». Nelle sue lettere tocca appena di questi piccoli accidenti della vita, e se ne lamenta solo, perché gli tolgono di scrivere agli amici così spesso come vorrebbe, e perché non gli è dato di vedere molte cose notabili di Firenze. La sua tristezza non gli reca impazienza e non dolore, come di uomo che vi sia già avvezzo. La sua facoltà di affetto non pare scemata. Scrive con effusione a Carluccio, a Paolinuccia, alla cara Adelaide, alla signora Antonietta, e si ricorda volentieri degli amici di Bologna, nome per nome. Se non potea veder Firenze, era pur visitato da’ primarii cittadini, da tutta quella compagnia di letterati ch’erano intorno al Vieusseux, e di cui dice: «Sono tutti molto sociali, e generalmente pensano e valgono assai più de’ bolognesi». Tra quelli era Giordani, e Niccolini, e Frullani, e Capponi, e Lambruschini, e Montani. Più tardi conobbe il «signor» Manzoni, col quale si trattenne a lungo: «uomo pieno di amabilità e degno della sua fama». Impressioni molto vive non pare che ricevesse dalle amichevoli e interessanti conversazioni, di cui non è cenno nemmeno ai più famigliari. Dice a Brighenti:

Io vivo molto malinconico, nonostante le molte gentilezze usatemi da questi letterati: tra i quali, tutti i primari, compreso Niccolini.