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XXXII

GLI ULTIMI «DIALOGHI»

Una delle fantasie più allegre di Giacomo Leopardi è il suo Ruysch, con tutto che vi si tratti di morte e di morti. Quella dolcezza del morire, che espresse con sentimento voluttuoso in Amore e morte, è il concetto intorno al quale si svolge questo dialogo. I morti testimoniano contro il pregiudizio volgare che la morte sia dolore; anzi è, come essi mostrano con l’esperienza propria e col ragionamento, piuttosto piacere che altro, quel piacere che consiste in qualche sorta di languidezza. Il canto dei morti riflette quella beltà severa e intellettuale, che troviamo in certi antichi inni teologici o filosofici, una beltà che è tutta nelle cose e dicesi sapienza, e non dà luogo a immaginazione né sentimento. Così erano i dettati de’ sette sapienti; e così sono questi dettati de’ morti.

E poi che Ruysch sente cantare le sue mummie, nasce una scena comica, che non ha alcuna importanza in sé stessa, e non è che una introduzione piacevole al discorso. In verità non valeva tutto questo affannarsi per venirci a dire che l’uomo non si accorge dell’istante che muore, e che negl’istanti che precedono sente meno vivamente il dolore, anzi prova una languidezza che è quasi un piacere. Ruysch, che è filosofo, fa qui il volgo, e filosofi sono i morti. La plebe rimane paurosa innanzi a quel gran dolore e a quel gran male che è il morire, innanzi a quella separazione violenta dell’anima dal corpo. Pregiudizii simili voglion esser distrutti col ridicolo, e ce lo facea sperare questa invenzione