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xxxi. posizioni fantastiche 237

e Atlanti e Prometei non sono cosa viva; sono trovati di uno spirito acuto a esprimer concetti intorno alla vita, più che la vita essa medesima. Chi è Tasso? Chi è Ruysch? Chi è Colombo o Gutierrez? Sono posizioni sterili, da cui non escono fuori che concetti e ragionamenti.

Poi Leopardi non sa ridere, malgrado che lo si proponga e vi si sforzi. Il riso è in lui un atto di dispetto e di rivalsa verso gli uomini, perciò senza grazia. Le sue opinioni sono così immedesimate coi suoi dolori, che non ci entra scherzo. Manca a lui la serenità e la bonarietà, che sono le due genitrici della forza comica.

Neppure mi par che riesca negli effetti serii e tragici dell’arte, appunto per quella sua impotenza a rappresentare il mondo di fuori. Colombo, vicino a trovar terra, entra in discorso con Gutierrez. Non crediate già sia Cristoforo Colombo, quel così ardente e così credente. La scoperta dell’America si dee a questo, che Colombo era annoiato, e fuggiva la noia nel lontano Oceano. Le azioni umane non hanno altro fine che di fuggir la noia. Non è Colombo, è Leopardi che discorre così, e Leopardi non avrebbe scoperta l’America. Gli uomini atti all’opera non sentono la noia.

Né altri che sé stesso è il suo Tasso, nel quale riflette pensieri e sentimenti proprii, com’è: che l’amore rinnova l’anima, che la solitudine ravvalora l’immaginazione, che il piacere è più nell’immaginazione che nella realtà, che la vita è noia; cose dette già da lui in verso, e qui ricomparse, come gli avviene in altri dialoghi. Ma qual bisogno era di sciogliere in prosa quello che aveva così felicemente condensato in verso? Veggo un Leopardi rifritto: mi manca Torquato Tasso.

Pauroso e altamente tragico è il Dialogo della Natura e di un Islandese. Qui troviamo lungamente proseggiato quello che disse mirabilmente in verso:

                Ma da natura
Altro negli atti suoi
Che nostro bene o nostro mal si cura.