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xxx. il ragionamento nel dialogo | 233 |
rire tutta la materia del suo discorso; sicché Timandro, come il Fisico, privo di ogni personalità e di ogni vigore intellettuale, è semplice personaggio a comodo, posto lì per mettere in evidenza Eleandro.
Il ragionamento è costruito a modo socratico, cioè a dire per via di interrogazioni, a cui non si può rispondere che sì; di guisa che di sì in sì si giunge a una conclusione, dalla quale l’interrogato non può sottrarsi, legato già dalle sue risposte. Timandro è costretto ad ammettere che le opinioni di Eleandro, ancoraché nocive, sono vere, e nascono appunto dalla maggior conoscenza del vero, in che è posto il progresso; sicché è appunto il progresso della scienza, tanto a lui caro, che genera quelle opinioni tanto a lui amare.
Ma l’interesse maggiore del dialogo è nella personalità di Eleandro, che è «Cicero pro domo sua», o piuttosto Leopardi in persona, il quale si difende dalle accuse che sentiva mormorarsi intorno e che pone in bocca a Timandro. Non poteva dissimularsi che quelle sue opinioni sulla infelicità necessaria della vita e la vanità delle cose erano dannosissime nei loro effetti morali e dovevano procacciargli nome di misantropo, odiatore degli uomini, indotto a quel modo di scrivere da infermità o ambizione, o ingiurie ricevute. Alle quali accuse oppone sul principio una ironia fredda, come di chi non curi e non pregi gli accusatori; poi innalza il pensiero e il linguaggio, discorrendo della sua sincerità, e n’esce una prosa calda e quasi eloquente, fluida e animata più che non è solito. Pure, perché quelle accuse erano presupposte nella sua immaginazione e non ne aveva ancora sentita la puntura negli attriti della vita, come fu più tardi, si sente in quel calore del discorso non so che astratto, venuto da moto d’intelletto, anziché di cuore. Ben altro calore, vera passione d’animo troveremo nel Tristano, scritto a trentaquattro anni, nel maggior disgusto della vita e già «maturo alla morte».