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228 | giacomo leopardi |
Nel Canto del gallo silvestre, sotto al quale indovini lo stesso silvestre Leopardi, vi si esprimono sentimenti alieni dall’umanitá, e soli conformi a uomini stanchi, che cercano la quiete del sepolcro, e sentono la dolcezza estetica di questo annunzio:
Verrà tempo, che niuna forza di fuori, niuno intrinseco movimento, vi riscoterà dalla quiete del sonno, ma in quella sempre e insaziabilmente riposerete.
Ma l’umanità è allacciata alla vita, e sente orrore del vuoto, e la veritá annunziata dal gallo le fa venire i brividi. Tutte le prediche funebri sono appoggiate su questi sentimenti, dai quali i predicatori ottengono l’effetto a cui mirano, il terrore e il raccoglimento. Il gallo quando col suo canto ci desta, è benedetto, perché ci richiama alla vita; ma quando vuol filosofare sulla vita, e dice che la vita è una soma, che niuna cosa è felice, che il fior degli anni è cosa pur misera, che la massima parte del vivere è un appassire, che ogni parte dell’universo si affretta infaticabilmente alla morte, e che tempo verrà che esso universo e la natura medesima sará spenta, non seguiamo l’importuno predicatore, che mentre ci sveglia alla vita, ce l’avvelena. Pure, quella potente forma di oracolo ci scote e ci tira a questa meditazione della morte universale; così grande è l’efficacia della forma a dire anche cose comuni, delle quali ciascun uomo dice: — Pur troppo è vero! — L’effetto artistico sarebbe maggiore se il gallo cantasse più e ragionasse meno; bastandogli suscitare il ragionamento negl’intelletti, anzi che esporlo lui, come felicemente fa nel principio:
Su, mortali, destatevi. Il dì rinasce: torna la verità in sulla terra, e partonsene le immagini vane. Sorgete, ripigliatevi la soma della vita; riducetevi dal mondo falso nel vero.
Chi legge l’Elogio degli uccelli e vede ivi rappresentata quella loro vita felice, può credere che sia ispirazione del buon umore. Non è difficile immaginare lo scrittore in una di quelle sue pas-