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filosofia dell’assoluto allora in voga, fondata su di un pretto umanismo e sulla teoria del progresso. Quell’assoluto che pretende star da sé, e che infine si risolve nella dottrina della perfettibilità umana, e rifà il piedistallo all’uomo, e ridà corpo alle vane ombre dell’immaginazione, umanità, patria, libertà, virtù, sotto nome generale di progresso o di civiltà, è proprio il contrario del suo concetto. Di rincontro all’opinione volgare e teologica è uno scienziato, e di rincontro alla scienza è uno scettico.

Che ne’ dialoghi filosofici si scelgano due opinioni opposte, è cosa comunissima. Si creano due personaggi a sostenerle, e si vede fin dal principio qual’è l’opinione favorita che dee vincere. La conversazione non è che un modo piacevole per condurci al ragionamento, e naturalmente il vincitore è colui che parla più a lungo e fa un discorso più sodo.

Già in questa posizione di due concetti contrarii è tutta la sostanza di un’argomentazione, di cui il ragionamento non è che la veste esteriore. Come nei dialoghi comici, de’ due attori l’uno è il protagonista e l’altro è messo là come semplice impulso all’azione, sì che tragga quello della sua quietudine e lo muova all’opera; così nei dialoghi filosofici il concetto è uno, e il suo opposto è messo là per dimostrare quello. Si può dire che sia lo stesso concetto, che si sdoppia per meglio ritornare uno. Ora, questo sdoppiarsi e ritornare sé, è la base dialettica del concetto, è appunto l’argomentazione o il ragionamento. Questa è l’essenza del dialogo scientifico.

Il Parini è una lezione più che un dialogo. È un concetto che si va svolgendo in linea diritta senza deviazioni, né opposizioni, tutto tirando dalla sua propria sostanza. Veri dialoghi sono il Porfirio, dove è opposizione alla opinione volgare, e il Tristano, dov’è opposizione all’opinione dei dotti.

Nel Parini il concetto è che la gloria sia cosa difficile a conseguire, e quando sia conseguita, cosa vana. La conseguenza dovrebb’essere che sia meglio godere e vivere in ozio. Ma l’autore, seguendo la morale stoica, pure ammettendo che gli scrittori grandi «hanno per destino di condurre una vita simile alla morte, e vivere, se pur l’ottengono, dopo sepolti», conchiude a