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e nel suo contro, ancoraché la duplicità non appaia al di fuori in due persone.

Base del dialogo è la duplicità del concetto, vale a dire il concetto e il suo contrario, o che sia la stess’anima nella sua scissura, o l’opinione volgare e alcuna opinione individuale, o il concetto stesso nella sua essenza diviso, come avviene nello scetticismo.

In qual modo Leopardi sia giunto ad una concezione sua della prosa e a quella forma artistica della prosa che si dice dialogo, si può desumere dalla storia del suo pensiero. Posto che i moti dell’immaginazione e del sentimento vengono da illusioni, atte non ad altro che ad oscurare il vero, si comprende la differenza netta e assoluta ch’egli fa tra poesia e prosa, l’una linguaggio dell’illusione, l’altra linguaggio del vero. E non solo vuole escluso dalla prosa ogni movimento poetico, ma ancora ogni elemento oratorio; ond’è della rettorica avversario non meno risoluto di Platone e di Socrate. Questi vedevano la rettorica incarnata nei sofisti, che non inculcavano il vero, come viene dall’intelletto, ma ricorrevano a tutte le lusinghe che nascono dall’immaginazione e dagli affetti, e seducevano e corrompevano co’ lenocinii dell’arte.

Il dialogo socratico non è che la lotta dell’intelletto contro le false apparenze o illusioni, dette per antonomasia sofistiche, roba da sofisti. Leopardi aveva un complesso d’idee lontanissime dalle opinioni volgari, nate appunto da illusioni o false apparenze; e non è tutto solo col suo concetto, anzi ha dirimpetto a sé il riso della moltitudine, e vi risponde con un certo piglio ironico, che noti nelle sue prose anche più severe. Si trovava dunque naturalmente sulla via del dialogo socratico, e doveva sentire nella sua natura quel riso nascosto nelle stesse pieghe del ragionamento, che fu detta ironia socratica. Anche là, dove la forma è semplice trattato o pensiero o racconto o esposizione, senti moversi un lieve alito d’ironia, che annunzia la forma ulteriore del dialogo, la presenza cioè nello stesso concetto di sé e del suo opposto, com’è nella Storia del genere umano. Il dialogo dunque non è in lui sola imitazione di erudito