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xxvii. «pensieri e detti» 219

maggior segno d’essere poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita».

I Detti memorabili di Filippo Ottonieri sono pensieri dello scrittore messi in bocca a Filippo, nel quale ha voluto coprire sé stesso. Questi sembrano scritti in continuazione, perciò sono uguali di tono e di colorito. Vi si nota qua e là uno stile più animato e un umore meno increscioso che non è ne’ Pensieri. La rappresentazione di Socrate, dove è manifesta l’allusione a sé stesso, è uno de’ tratti più felici.

Molti di questi Detti sembrano pensieri occorsi all’autore nella lettura di classici greci e latini; altri sono ragionamenti a sostegno delle sue tesi favorite, come: che le azioni umane sono trastulli, e che i piaceri nascono da false immaginazioni, e che i peggiori momenti della vita sono quelli del piacere. Trovi anche qui novità d’immagini, e un lavoro spesso felice di condensamento, come: «I fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto».

Pensieri e Detti furono scritti ad occhi asciutti, ma che portavano segno di avere versate molte lacrime. Sembra che l’autore si vergogni di piangere, o non ne abbia più la forza, o abbia fatto il callo e l’uso al dolore, e dice cosa talora tenerissima tranquillamente, quasi il cuore si sia cristallizzato. Nel principio del capitolo terzo narra di una disavventura, con chiara allusione a qualche suo caso particolare. Narra di una donna amata, morta a poco a poco, e prima trasformata che morta:

«In modo che tutti gl’inganni dell’amore ti sono strappati violentemente dall’animo; e quando ella poi ti si parte per sempre dalla presenza, quell’immagine prima, che tu avevi di lei nel pensiero, si trova essere scancellata dalla nuova.»

Il racconto ha una efficacia e una precisione, che non t’intenerisce, anzi ti fa male perché il tono è asciutto. E ci vuole molta finezza di fibra per sentire la lacrima sotto a quell’aridità. Gli è un uomo disilluso, stanco di vivere, con apparenza di tran-