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218 | giacomo leopardi |
Sicché, a dir cose così poco gradite, non gli basta la crudeltà di una espressione netta e frigida, ma l’aguzza per modo che sia come uno strale fitto nella carne. Non è già ch’egli lo faccia con questa intenzione; quel suo aguzzare il pensiero è in lui studio di artista e non compiacenza di misantropo; ma questo è l’effetto che produce. Va diritto e sereno nel discorso, come si trattasse di cosa indifferente all’umanità; poi ti condensa tutto in una frase inaspettata, che ti penetra come una spada.
Si può dire che l’interesse è appunto in queste frasi ultime abbreviative, che ti restano nella mente, come l’ultima pennellata che dà la vita ad un quadro. Ti straziano; pure non le puoi allontanare da te, e resti con ammirazione, perché spesso la novità non è nel pensiero, ma nel dirlo a quel modo.
Le cose da lui notate spesso ci son corse avanti gli occhi e non ci son parse degne di nota. Pure, in quella forma ci sembrano nuove. E non è già una forma aguzzata artificiosamente per fare effetto, perché nessuno cerca così poco l’effetto come Leopardi. Le cose più ordinarie acquistano novità, quando il punto di vista sia nuovo. E ciò che qui interessa non è la cosa, ma il punto di vista o la guardatura visibile nella forma.
La celebrazione degli anniversarii, quel voler leggere altrui i componimenti proprii, e non saper parlare di altro che di sé, quel poco conto in cui si ha la semplicità dei modi, quel parlare in una maniera e operare in un’altra: o chi queste cose e simili non se le ha viste innanzi le cento volte? Sono fonti comuni di ridicolo, materia di ritratti o di bozzetti. Ma qui la materia si rinnova sotto una nuova guardatura. È appunto questo mutamento di guardatura, che apparisce nella frase condensata leopardiana.
Talora la novità è nell’immagine, com’è quel fiorentino che, strascinando a modo di bestia da tiro un carro, gridava con alterigia alle persone di dar luogo. Il più spesso è nella virtù de’ contrasti o delle somiglianze, com’è quest’ultima frase di un pensiero: «Gli uomini sono miseri per necessità, e risoluti di credersi miseri per accidente»; ovvero quest’altra: «Nessun