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xxvii. «pensieri e detti» | 217 |
tristezza. Disapprova l’educazione monastica che si suol dare ai giovani, qualificandola «un formale tradimento ordinato dalla debolezza contro la forza», e porge loro utili consigli, perché si premuniscano nei varii casi della vita.
Ma è luce fosca, la quale non dissipa l’oscurità del quadro, anzi la rileva. Perché la simpatia verso la gioventù non è qui che desiderio inconsolato di un bene poco goduto, e non riscalda lo spirito, non se lo tira appresso, anzi lo spirito tristo vi gitta entro le sue ombre. Perciò è luce soverchiata da tenebre.
Nella persuasione dello scrittore il mondo è tale, che i giovani anche ottimi debbono necessariamente divenire malvagi. Talete, domandato da Solone perché non si ammogliasse, poteva addurre valida e ragionevole scusa, dicendo «di non volere aumentare il numero dei malvagi». L’uomo è malvagio o ridicolo.
E questo afferma, non per esperienza singolare che abbia avuto dell’uomo, alieno com’era da umano consorzio, ma per istudio della natura umana. Loda Guicciardini appunto per questo studio, e non ammette che la malvagità nasca da cagioni politiche, sì che il mutamento di istituti politici valga ad emendarla, né gli pare che nasca da cagioni peculiari, che si possano rimuovere. L’uomo è fatto così per una irrimediabile necessità della sua natura.
Perciò qui non trovi nulla che si riferisca a casi singoli, politici o sociali, nulla che si riferisca alla sua persona, o a questa o a quella nazione. Lo stesso destino pesa sopra tutto, e le particolarità non hanno importanza. Ben ci è qualche allusione, come alla tutela paterna, o al secolo, che «presume di rifar tutto, perché nulla sa fare», ma in forma generalissima e impersonale. Si direbbe quasi che egli cacci da sé qualsiasi moto di passione o di sentimento personale, per essere non altro che voce di fato. La placidità impassibile dell’esposizione, in materia così commovente, ha un certo senso ironico, quasi di scherno. L’ironia verso gli uomini e anche verso la natura non è tanto in qualche epiteto, quanto nello spirito occulto e satanico, che anima il pensiero, e oscura e imbruttisce la faccia dello scrittore.