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xxvi. la prosa di leopardi | 211 |
cano colori, immagini, impressioni; è il nudo scheletro, congegnato con tanta esattezza di articolazioni e con così chiara esposizione, che ti ci stai contento e non desideri altro.
Questo tipo intellettuale di prosa era anche il tipo di Niccolò Machiavelli; se non che certe abitudini letterarie, non potute in tutto sradicare, e certe durezze di espressione gl’impedirono di conseguire quella limpidità e quella uguaglianza, che si ammira nella prosa leopardiana.
A Giordani e agli altri letterati poté parere quella prosa un deserto inamabile, e più uno scheletro che persona viva. Ed è chiaro che a questi tempi di fiori posticci e di salse piccanti, quella prosa dee parere arida e insipida. Sicuro, la non è che lo scheletro; ma era lo scheletro appunto che mancava alla prosa italiana, e nella esatta e solida formazione dello scheletro si vede quella virilità intellettuale, e quel vigor logico che, se non unica, è parte principalissima della buona prosa.
Leopardi volle fare così, fittosi in mente quel suo esemplare di prosa, e vi spiegò una assoluta padronanza della lingua e un insolito vigore intellettuale. Ne uscì fuori un monumento classico, di molta perfezione, a linee severe. Gli spettatori dicono subito: — Gli è un bel monumento, ma non ci si sente noi — .
Questo è il difetto. Fondo greco, lingua del trecento, una famigliaritá elegante di uomo superiore, appartato dalla moltitudine, elementi cavati dalla letteratura, e plasmati e fusi da una serietà intellettuale, che si afferma con pregiudizio delle altre qualità dello spirito: ecco un lavoro finito, degno di ammirazione, ma senza eco e senza effetto letterario, perché frutto d’ingegno solingo, e sente di biblioteca, e non esce di popolo.