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206 | giacomo leopardi |
Quelle idee morali sono appunto la filosofia, o, come egli dice, la pratica filosofica di quel genere di vita che allora menava, quando, esaurite le prime disperazioni giovanili, s’era acconciato a vivere come tutti quanti, cioè in modo ordinario e volgare. Egli nota che gli uomini forti desiderano la felicità negata dal Fato, e contrastano ferocemente alla necessità, come i Sette a Tebe di Eschilo, e gli altri magnanimi degli antichi tempi. La morale stoica che raccomanda la tranquillità dell’animo e uno stato libero di passione, e non darsi pensiero delle cose esterne, non è fatta per quelli, ma per gli uomini deboli, facilmente rassegnabili.
Io, che dopo molti travagli dell’animo e molte angosce, ridotto quasi mal mio grado a praticare per abito il predetto insegnamento, ho riportato di così fatta pratica e tuttavia riporto una utilità incredibile, desidero e prego caldamente a tutti quelli che leggeranno queste carte, la facoltà di porlo medesimamente ad esecuzione.
Il sugo di questa morale stoica praticata da Leopardi e inculcata a tutti, è in questo, che, sendo negata all’uomo la felicità, lottare contro il Fato non vincibile, e consumarsi di desiderii vani, è stoltezza; e per contrario uno stato di pace e quasi di soggezione dell’animo e di servitù tranquilla, quantunque niente abbia di generoso, è pure conforme a ragione, conveniente alla natura mortale, e libera da una grandissima parte delle molestie, degli affanni e de’ doveri, di che la vita nostra suol essere tribolata. «Non curarsi di essere beato né fuggire di essere infelice»: qui è la cima e la somma sì della filosofia d’Epitteto, e sì ancora di tutta la sapienza umana.
Si capisce ora perché gli era così caro il Manuale di Epitteto, e stimava il suo volgarizzamento come il suo lavoro più importante, e si dava con amore anche alla traduzione d’Isocrate. Trovava lì quella sua morale di tranquillità e di rassegnazione al Fato di cui egli medesimo era esempio. Il Manuale di Epitteto finisce con queste parole:
Menami o Giove, e con Giove tu o Destino, in quella qual si sia parte a che mi avete destinato; e io vi seguirò di buon cuore. Che