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III

1815


«SAGGIO SUGLI ERRORI POPOLARI
DEGLI ANTICHI»

In quest’anno continuò i suoi lavori sopra gli scrittori latini e greci de’ secoli della decadenza, non intermettendo le letture e i soliti esercizii, trascrivere, annotare, interpretare, correggere.

In sei mesi scrisse In Julii Africani Cestos, lavoro che il De Sinner giudica dottissimo. Di quest’opera di Giulio Africano, che tratta di agricoltura, di fisica, di arte militare, di medicina, non restano che pochi frammenti. Era un’altra rovina da disseppellire. E il giovine dottissimo confronta codici, fa il solito commentario De vita et scriptis, e traduce, emenda, annota i primi ventisette capitoli.

Tutta questa dottrina doveva avvezzarlo a cercare nelle quistioni il pensiero altrui, anziché a meditarvi lui. La sua intelligenza era dominata dalla sua dottrina.

Né il gusto era molto sicuro. Metteva in un mazzo grandi e mediocri, Tacito e Frontone, Livio e Dionisio d’Alicarnasso. Il dottissimo latinista ed ellenista, seppellito in quei secoli della decadenza, pieno il capo di forme greche e latine, restitutore di testi, comentatore paziente e minuto, sotto abito antico era un vero figlio del secolo decimottavo, al quale appartenevano ancora tutti, retrivi e liberali. Dice di sé, in una lettera a Pietro Giordani, che a quel tempo aveva pieno il capo delle massime