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166 | giacomo leopardi |
morti rivive solo Eco, che «insegna al curvo etra» le querele umane, immagine còlta dal vero e felicissima, che sopravvive alla ninfa, e ci produce tutta l’illusione di una vita presente, perché, se la ninfa è ita, è rimasta quella sua apparenza di cosa animata. In una età più giovane Leopardi ai primi effluvii primaverili sentì risorgere in sé certe antiche immagini, e invocò la Natura perché gli rendesse la giovinezza: anche qui prega la vaga Natura che gli renda la «favilla antica». Ma qual differenza nello stato del suo animo! Quella è prosa, una lettera al Giordani; questa è poesia. Pure, lì trovi un profondo sentimento poetico, ci senti il giovane ancora entusiasta, ancora resistente al fato; qui ammiri, ma resti freddo; senti l’uomo della vita quotidiana, già abituato a certe idee e a certi sentimenti.
Spinto lo sguardo nella giovinezza delle nazioni, in quel primo fiore di una immaginazione fresca che umanizza cielo e terra, il poeta si riposa in quelle memorie di lontane età, dove trova la felicità negata ai presenti. Quella contemplazione non produce in lui un perfetto obblio, sì che si tuffi entro e ci viva, assaporando in immaginazione quella felicità che non trova nel reale. Né il contrasto tra quelle prime felici età e il presente vale a trargli dal petto stanco altro che un sospiro appena sensibile. Sicché deboli sono le forze dell’immaginazione e del sentimento, e vi supplisce l’erudizione, lo studio meccanico della forma, la riflessione. Questo è il carattere della canzone alla Primavera ed anche dell’inno ai Patriarchi, che paiono nati a un parto, sotto la stessa costellazione psichica.
Anzi, in questo inno la forma è anche più severa, più aliena da ogni impressione sentimentale e da ogni moto concitato d’immaginazione. È scritto secondo il modello dell’antico inno greco, puro racconto della vita d’Iddii e d’Eroi. Non c’è luce nel cervello; la faccia è oscura e monotona; non c’è neppure quel sorriso involontario di soddisfazione, che accompagna l’artista nella felice espressione anche di cose triste. Così mi rappresento io la faccia poco animata del poeta, quando scriveva. Ricorrono sempre i dolori presenti nella contemplazione di quella beata età, ma dolori divenuti quotidiani e abituali, che non colpiscono