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150 | giacomo leopardi |
niente di esagerato. La Natura nella Saffo è, al contrario, bella e amica, come sempre. Il canto dell’augello e il murmure del faggio è un saluto; l’aprico margo, il mattutino albore è un riso; bella è la rorida terra, bello è il manto del divino cielo. La Natura è una beltà infinita, di cui nessuna parte tocca a Saffo. La reietta di Faone è la reietta di tutto l’universo, la «negletta», com’ella dice, «negletta prole». Tale è il concetto estetico, che dà alla natura una parvenza nuova, e rende possibile a Saffo l’ultima poesia. Concetto che non è il vero, ma semplice parvenza, o, come dicesi, una verità poetica, ciò che par vero a Saffo e a tutti quelli che sono nel suo stato, in «disperati affetti». Questa situazione così circoscritta non consente quell’alta intonazione e quella solennità di tragedia che pare nella forma del Bruto. La forma tende invece all’elegia, e più, quanto si avvicina più al termine. Se volessimo usare un gergo di moda, direi che Bruto muore per congestione. Saffo per depauperimento. La forma lì gorgoglia e ribolle; qui, cominciata maestosa e splendida, si va rilassando a poco a poco, e finisce in un sospiro appena sensibile, anzi non senti nemmeno più il sospiro nelle ultime parole, nude di ogni impressione:
... il prode ingegno an la tenaria Diva, E l’atra notte, e la silente riva. |