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che trascende Atene, Roma, Italia: intravvedi la storia del mondo in una storia particolare, tutto il cielo in un pezzo di cielo. La storia è fatale. E la fatalità è nello sviluppo naturale del cervello, nella scienza che sfronda e dissecca la vita, distrugge ad una ad una tutte le illusioni. Nel secolo dei lumi e del progresso questo giovine, che gitta uno sguardo scettico nell’avvenire e volge le spalle al «secolo di sangue» e si rifugia nella contemplazione del passato, dovea parere una stonatura. Ma era una rettorica poetica, non ci si guardava pel sottile, si ammirava la bella forma. In verità, un contenuto nuovo dovea generare una forma sua. Ma è più facile rinnovare le idee che la forma. Lo stampo rimaneva classico, come glielo avevano suggellato nel cervello gli studi. Pure, il poeta acquista maggior padronanza e sicurezza, e vuol dire tutto a modo suo e in modo nuovo e piccante. Già s’immedesima in sé e vanno via le reminiscenze. Quella guardatura del mondo, sua, lo aiuta a novità di concetti e di frasi. C’è in quella guardatura la glorificazione e la maledizione, l’inno e l’elegia, l’entusiasmo e lo scetticismo, la vita e la scienza, e quello che è contraddizione nello spirito, genera nella espressione una maravigliosa fusione di colori. L’inno vanisce in un ahi!, e il sospiro si trasforma in una esclamazione gioiosa. C’è il fiorire e l’appassire, il rigoglio della vita col germe della morte che si annunzia subitaneo. Materia nuova, talora abbozzata e a contorni oscuri, come trattata per la prima volta, e rimasta compassata e quasi incarcerata in quello stampo classico. Talora esce fuori cruda come una sentenza, senza sviluppo e senza eco nell’anima. Manca alla immaginazione il suo elaterio, allo stile la sua fosforescenza. Spigliata e calorosa, dov’è luogo comune, quando la materia è nuova, ti pare spesso l’arido schema che avrà il suo sviluppo in altre poesie.

Così com’è, questa canzone ha una grande importanza nella storia del poeta.