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xii. 1820 - canzone al mai | 113 |
sarebbe un’illusione! La contraddizione è così manifesta, che l’intelletto ci sofistica sopra e cerca scappatoia. Il 30 giugno di questo anno si crede guarito, e nel suo nuovo sentimento della vita scrive a Giordani:
Io ritorno fanciullo, e considero che l’amore sia la più bella cosa della terra, e mi pasco di vane immagini... Io non tengo le illusioni per mere vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, giacché non sono capricci particolari di questo o di quello, ma naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e compongono tutta la nostra vita.
Ecco dunque. La vita non è più una illusione, ma è cosa in certo modo sostanziale, perché ingenita in ciascun uomo. Il giovane cerca una conciliazione tra il cuore che sente e ama la vita, e l’intelletto che proclama il nulla. Una conciliazione sofistica e provvisoria, un sofisma del cuore e che dura quanto il cuore dura.
Così, da una parte le sue idee sul nulla si fortificano, si estendono, diventano l’alfa di ogni suo discorso. Il solo nulla è vero; tutto l’altro è falso: «credo che tutto sia falso in questo mondo, anche la virtù, anche la facoltà sensitiva, anche l’amore». Ma d’altra parte la vita ha pure il suo valore, ed in certo modo sostanziale: «il mondo senza entusiasmo, senza magnanimità di pensieri, senza nobiltà di azioni, è cosa piuttosto morta che viva», vale a dire che la virtù non è falsa, anzi è nel mondo la condizione della vita. Senza la virtù, la società è un «corpo morto, appestata dall’egoismo distruttore di tutto il bello e di tutto il grande». Sicché i tristi sono i meno felici, perché «le grandi e splendide illusioni non appartengono a questa gente» e «ristretti alla verità e nudità delle cose, che altro si deggiono aspettare se non tedio infinito ed eterno?». Anche la speranza risuscita.
8 — De Sanctis, Leopardi. |