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xii. 1820 - canzone al mai 111
Viene la primavera, e gli par di rinascere. Ma lasciamo parlar lui:
Poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro, un bel raggio di luna, e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla natura, la cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo.

        Questo è un piccolo capolavoro. Quelle certe immagini antiche, che gli si svegliano non chiare e tutte, ma così in confuso come dopo un sogno, e quasi le andasse cercando, quella voce della natura, quel domandarle misericordia, e quel cielo puro e il bel raggio di luna, e l’aria tepida e l’abbaiare lontano dei cani, cose non descritte, perché sono una azione immediata della natura, queste non sono invenzioni poetiche, ma fenomeni dell’anima, vivi nella memoria, e riprodotti in modo immediato e semplice, fenomeni di quel novo spiracolo di vita che gli apriva la primavera.

Ma fu un sollievo momentaneo, un gemito o un sospiro in mezzo a quel torpore, che gli rendeva più acuto il sentimento del suo stato ordinario.

E in quel momento dando uno sguardo alla mia condizione passata, alla quale era certo di ritornare subito dopo, com’è seguito, m’agghiacciai dallo spavento, non arrivando a comprendere come si possa tollerare la vita senza illusioni e affetti vivi, e senza immaginazione ed entusiasmo.

Eccolo dunque ricascato nel suo sopore.

Ora sono stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova più l’entrata di questa povera anima, e la stessa potenza eterna e sovrana dell’amore è annullata a rispetto mio nell’etá in cui mi trovo.