Voleva dire: — L’offesa veramente è stata tale che non ammette scusa — . Ma «offesa» non è più la parola della nuova situazione, e si corregge, e dice «fatto», parola generica e senza colore, suggeritagli da un sentimento nuovo di delicatezza, da cui si sente dominato senza sapere perché. — «L’offesa... il fatto veramente...» — . E si arresta, e non osa compiere la frase, per tema di dir cosa dispiacevole, e perché quel fatto che voleva dimostrare inescusabile, è già in cuor suo e di tutti non solo scusato, ma perdonato. Egli parla sotto l’impressione della folla, e ne sente il controcolpo e si fa la sua eco. Colui è già perdonato, e la frase cominciata resta in aria, e spunta la nuova da una idea già preparata e subito corretta, perché la sua nuova situazione gliene fa sentire la sconvenienza. — «Ma l’abito che portate... non solo questo, ma anche per voi...» — . E oh maraviglia! L’uomo preparato a ricevere scuse è lui che le fa, è lui che prende aria di accusato, trascinato da quel nuovo sentimento che si è impadronito di lui, balbettando, correggendosi, smozzicando frasi, quasi toccasse a lui mettersi in ginocchio, mentre prende per le braccia e solleva l’inginocchiato. E in verità l’inginocchiato è lui, è lui che sente innanzi a quello la sua inferiorità morale, con una coscienza confusa che gli trae per primo grido di bocca un: — «Alzatevi!» — . Si può ora indovinare come finisce questa scena. La vittima ha la sua trasfigurazione; innanzi alla folla diviene un santo, e gli baciano il lembo dell’abito. Trasmutazioni così estreme negli animi non passano senza un tinta ironica che ci fa un po’ sorridere a spese della folla, de’ signori e del gentiluomo. Il poeta è così poco disposto a rimanere nell’ideale, che compie la scena con un tratto comico, il quale ci cava da quell’atmosfera momentanea e ci riconduce nello stato normale dell’esistenza. — «Diavolo di un frate!» — , borbotta tra’ denti il gentiluomo, rimasto solo. — «Se rimaneva ancor lì per qualche momento in ginocchio, quasi quasi gli domandava io scusa ch’egli mi abbia ammazzato il fratello» — . Rotto il fascino, ripiglia suo uso e suo linguaggio. E a quella esaltazione succede in noi il sentimento abituale della vita. Gli è come avessimo sognato, o come, lasciando una pomposa fe-