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III
LA MATERIA DE’ «PROMESSI SPOSI»
— Che fa Manzoni? — domandava Goethe, e Cousin:— Fa un romanzo, con l’intenzione di una maggiore esattezza storica che non è in Walter Scott, e di un’applicazione precisa del vero metodo storico. — E qual è l’argomento? — Il secolo XVII a Milano. — Il secolo XVII a Milano! Manzoni è milanese; avrà studiato bene questo secolo — .
Né altra era l’aspettazione in Italia. — Che fa Manzoni? — Manzoni fa un romanzo storico, più storico che non sono i romanzi di Walter Scott — . E si attendeva il parto del nuovo Walter Scott.
Né altra era l’intenzione dell’Autore. Si apparecchiò al lavoro con studii storici severissimi, come avea fatto col Carmagnola e come più tardi fece con l’Adelchi. E di quella diligenza di studii rimase testimonio non dimenticabile la Colonna Infame.
Se volessimo esaminare i Promessi Sposi col metodo di Goethe e dello stesso Manzoni, domandando cioè innanzi tutto, qual è l’intento dell’Autore, ci troveremmo in un bell’impiccio. Quel metodo era un buon rimedio verso i critici, che partendo da concetti assoluti facevano essi il lavoro, e in luogo di guardare ciò che ivi era, fantasticavano su quello che avrebbe dovuto esserci secondo le regole della poetica e della rettorica. Quel metodo era una buona arma di guerra contro quella critica: l’Autore parea dire: — Guardate, Signori, ciò che ho voluto fare io, e non ciò che vorreste voi; se volete esser buoni giudici, siate