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lesse così la correzione del Croce: «s’oblia e sogna sopra una battaglia»; MP ha invece: «s’oblia e sogna una battaglia»);
III. Ritratto di don Abbondio. — Per il testo di questa conferenza abbiamo rivisto direttamente La Nazione nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Il resoconto, a firma di Apollo Lumini, studente nell’Istituto di Studi Superiori, porta il seguente titolo: Del ritratto di don Abbondio. Lettura fatta la sera del 25 novembre al Circolo Filologico di Firenze dal Prof. Francesco De Sanctis; ed è preceduto dalle seguenti note:
Non vi starò qui a parlare del numero grande di persone che assistettero a questa, che l’illustre professore si piacque modestamente chiamar «lettura», conversazione, e che io chiamo lezione addirittura, sul Ritratto di don Abbondio. E nemmeno vi tratterrò a raccontarvi da fedel cronista, come in quella sera si riunisse nella elegante sala del Circolo Filologico, quanto v’ha di persone colte e gentili nella nostra Firenze. Tutto questo è facile immaginarlo, quando si pensi che era stata promessa una lettura dal Prof. De Sanctis, l’eminente critico italiano, caro alle lettere, caro a tutti, e massimamente a noi studenti dell’Istituto di Studi Superiori, in quanto che il suo nome si collega insieme con quello del nostro caro maestro il Prof. Pasquale Villari, che fu già alunno del De Sanctis. E chi fu che in quella sera non notasse trasfusa la contentezza nel volto del Villari nel presentare il suo maestro? A noi abituati a godere del piacere del nostro caro professore, non sfuggì: ci parve anche più caro del solito e uscimmo da quella sala più contenti. E più ci sarebbe da dire se, temendo di cadere nella rettorica tanto in odio al Prof. De Sanctis, al Prof. Villari e a tutti i galantuomini in generale, non me ne passassi veloce. Dirò solo che quella serata non si potrà dimenticare mai più; è nella nostra vita un avvenimento importante, e vengo all’argomento principale.
Noi cercammo di riassumere, quanto meglio ci fosse possibile, le idee dell’illustre professore, più per comodo nostro che per dar loro pubblicità, sapendo quanto sia difficile e di somma delicatezza il metter le mani nelle cose dei sommi. Ond’è che se, cedendo alle istanze di alcuni amici, ci siamo indotti a rendere di pubblica ragione queste no-