Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/36

30 saggi

ma quale io ce l’ho trovato. Non è il mondo mio, è il mondo dei miei personaggi. Non ho voluto riabilitar nessuno. Non ho voluto rifare la coscienza a nessuno, non sostituir me alla storia — .

Fatto è che Manzoni non rimane in questo realismo storico. Il suo buon senso gli dice che con questo solo la storia c’è, ma non c’è ancora l’arte, non c’è la tragedia. Poi, il poeta degli Inni ha dentro di sé tutto un nuovo mondo religioso e morale, che gli si mette attraverso alla storia. E non volendo rinunziare all’ideale, e non volendo adulterare il reale, li mette di rincontro, storia e invenzione, mondo reale e mondo ideale. Così nacque la celebre teoria de’ personaggi reali e inventati, un mondo misto, storico-poetico, dove storia e poesia, ciascuna nella sua sfera, s’incontrano senza toccarsi, l’una fuori dell’altra. Dirimpetto alla storia ci è il Coro, la voce del poeta; e in mezzo alla storia sorge la figura di Marco, l’idea di un mondo migliore rimasto vittima della ferrea età.

Trovare una combinazione, dove storia e arte, reale e ideale, l’avvenuto e l’inventato potessero coesistere, distinti nella loro unione, fu fin d’allora il problema che tormentò il nostro artista. Collocare il suo ideale in un mondo rigidamente storico e positivo, non confondere i due mondi l’uno con l’altro, anzi tenerli così spiccati nella loro differenza che il lettore possa dire: — questa è storia, e questa è invenzione; questo è reale, e questo è ideale — ; suscitare un doppio interesse, un interesse storico e un interesse artistico, pure in tal modo che il tutto sia omogeneo, con unità di composizione e d’interesse; questo fu lo studio, nel quale Manzoni si ostinò con la paziente tenacità d’un convincimento sincero. Questo tentò nel Carmagnola, ritentò nell’Adelchi, questo si sforzò di conseguire ne’ Promessi Sposi. E quando in mezzo agli applausi del pubblico il suo intimo senso lo avvertì che l’intento non era ottenuto, diè torto al pubblico, giudicò il suo lavoro un genere ibrido, e sentenziò il problema essere assurdo e d’impossibile soluzione. Così il critico condannò l’artista. Ma il pubblico applaudiva all’artista e non rispondeva al critico. Fenomeno non nuovo, chi ricordi Torquato Tasso. Se non che Tasso continuò come critico, e volendo far meglio, fece