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sono sposati, ed egli ritorna alla sua quiete, divien buon compagnone e si permette di far dello spirito.

Eccovi la vita di don Abbondio narrata piú. che criticata. Alcuni lo dicono troppo analizzato e caricato, e [che] prende troppo posto in un romanzo morale come questo. Non hanno questi tali l’idea di ciò che è romanzo. In questo voi ci trovate il materiale storico e positivo, ed è ciò che di piú eccellente riverisco nell’arte nazionale.

Quel mondo ideale nella cima ci parrebbe esagerato se non avesse riscontro in quel mondo di mezzo, che gli sta intorno, mondo plebeo, volgare, di cui don Abbondio è il rappresentante. Immaginate una di quelle camascialate quali ci vengono descritte da Lorenzo de’ Medici, e ponete don Abbondio a corifeo di quella, a capo delle maschere; guardate, quella maschera si tira dietro il popolino: Agnese, Renzo, Prassede, don Ferrante. È un mondo comico, di cui l’essere accentuato è don Abbondio. Il comico è sviluppato quando ci si spassa a spese degli ignoranti, dei dotti, dei frati, da Calandrino al marchese Colombi.

Don Abbondio è il comico della volontà. Non che fosse intelligente, ma tutto il complesso dei fatti prende di mira la fiacchezza. — Se la vita d’Italia stagnò, fu per abbassamento di carattere, nel quale a ragione, sebbene dolga il confessarlo, ci rimproverano gli stranieri la falsità, l’ipocrisia; e don Abbondio c’è caro, perché in noi tutti, diciamolo pure, c’è qualcosa del don Abbondio. Pure non voglio darvi il don Abbondio come personaggio comico perfetto. È solamente il più felice, il più compiuto. Se vogliamo tornar grandi, torniamo modesti. Manzoni non ci può dare ciò che non è nella vita nazionale. Vi dà la parte più bassa, la caricatura, non la vita profonda, di dove uscì Mefistofele, Fausto e Sancio Panza. Ed ora sta a noi cercare di mettersi in quella vita, ed allora verrà l’artista che ci darà il don Abbondio perfetto.

        [Ne La Nazione, 3 dicembre 1873].