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ii. il «cinque maggio» 331
        Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa.
L’onda su cui del misero.
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan...

Quell’«invan» fa rivivere tutto il passato.
Ed il passato ritorna: ritornano le battaglie e l’ambizione, ma come rimembranza, non percotendovi, ma straziandovi; la mano di Napoleone cade stanca sul suo libro.
        Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
E sull’eterne pagine
Scorrea la vista a scernere
Cadde la stanca man!

Poi continua:
        Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte.
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte.
Stette, e dei dí che furono
L’assalse il sovvenir!

Il primo «quante volte» era appena accusato, questo è sviluppato fino allo strazio. Tutto è silenzio intorno a Napoleone, i suoi giorni passano senza lasciar orma. «Chinati i rai fulminei ecc.» è il Napoleone d’ogni statua. Tutto a un tratto s’oblia e rêve. Sogna una battaglia:
        E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli.
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda de’ cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.