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ii. il «cinque maggio» 325

scuola del Monti vi è una sonorità che divien cantilena, che divien monotonia e finisce per addormentarvi. Il metro scelto dal Manzoni è la morte della cantilena. Per ottener la melodia bisogna cansar sdruccioli e tronchi. Manzoni in una stanza di dodici versi ha cumulati sei sdruccioli che non dànno riposo, che vi pingono avanti sinché, sempre sdrucciolando, non abbiate posa naturale nel tronco. La rapidità del ritmo non vi dà requie se non giungete d’un sol fiato all’ultimo verso. Qui è la bellezza e la difficoltà di questo metro. Il sesto verso debbe essere il principal verso della stanza; Manzoni l’ha saputo così ben padroneggiare ch’è impossibile ad un uditorio italiano il celar l’impressione ricevuta da questo sesto verso.

È sobrio di parole, inesaustamente ricco d’immagini e d’idee: ciascuna sua parola è gravida; integra e perfeziona le immagini con le idee che desta.

Queste sono le qualità del ritmo inventato da Manzoni. Quest’ode fece sorgere i Manzoniani e gli Antimanzoniani che chiamavano questa forma tedesca, come tutto ciò che non comprendevano.

Quest’ode è epica. Il poema epico è finito, ma nessuna forma artistica finisce assolutamente: sempre rimane alcunché dell’antica nella nuova forma. Ciò che l’epopea ha di particolare, divien romanzo; ciò che ha di meraviglioso, ode. Il meraviglioso soprannaturale è terminato; rimane il meraviglioso umano. Manzoni ha voluto celebrare epicamente la grandezza di Napoleone.

L’introduzione è ammirata; si scinde dalle introduzioni volgari, vi mette in campo epico, vi spiega immense grandezze: Napoleone cadavere, e la moltitudine, l’Europa divenuta per istupore simile alla sua spoglia. Cosa le passa in mente? Non crede possibile la sua morte: ne rimane «attonita». Tutti gli uomini non esistevano innanzi a Napoleone, tutti non si occupavano che di lui, quando giunge la subitanea notizia della sua morte: come una percossa che vi ritira il sangue dalla faccia. «Ei fu», motto generale che la moltitudine non può applicare che a un solo uomo.

Questo paragone fra un cadavere ed una moltitudine «atto-