Miei cari, c’è in fondo alla nostra coscienza un principio di giustizia; e don Abbondio in fondo non è traviato: egli sente che l’indomani avrebbe fatto un torto a Renzo. Un torto, perché se gli uomini forti fanno torto con la violenza, i deboli lo fanno col raggiro e con i pretesti. Don Abbondio aveva voglia di pensare che Renzo era un ignorante e che non sapeva di latino, e che era facile imbrogliarlo; ma non poteva impedire che una voce dal di dentro gli dicesse: — E tutto ciò sta bene? — . Ora avviene che quando nel fondo di una coscienza c’è quel principio di rettitudine, il quale deve lottare con la paura, avviene, diceva, che non si dà forma precisa a quella voce della coscienza, che anzi si cerca di seppellirla, e si lascia parlare, e si dà ascolto soltanto all’altra voce più lusinghiera che emerge dal bisogno attuale. Ma la vendetta della coscienza non si lascia aspettare, perché sempre quella seconda voce contiene la prima; e di fatti don Abbondio ha bisogno di giustificarsi, e questo giustificarsi è appunto la risposta a quella voce, di cui egli non ha chiara coscienza. Epperò la frase ultima di don Abbondio è di forma complessa, è mezzo espediente, e mezza giustificazione.
Ma perché quella frase fa ridere?
Perché in quella frase don Abbondio dice quello che con latino maccaronico si direbbe: «Prima caritas principiat ab ego»; e questa persuasione che gli è dettata dalla paura fa ridere coloro che sono fuori ed al di sopra della sua temperatura. Quindi il riso benigno che è eccitato da quelle parole: «Tu
pensi all’amorosa; ma io penso alla pelle... Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo».
Don Abbondio finalmente chiude gli occhi al sonno: ma l’autore non lo lascia ancora senza dargli l’ultima pennellata. Dorme, «ma che sonno! che sogni!». Tutti gli avvenimenti gli si ripresentano ingranditi dalla paura. Ora, miei cari, che cosa ha di particolare il sogno? Nella veglia ci sono certi movimenti intimi, che noi non osiamo di rivelare a noi stessi per un certo pudore naturale; noi abbiamo vergogna di dare loro forma di pensiero, perché avremmo vergogna nel pensare d’aver com-