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Lezione XIV
[DON ABBONDIO]
Lasciammo don Abbondio in un momento interessante della sua vita, e se mal non mi ricordo, rimanemmo alle parole «Cioè, cioè...».
Che cosa è questo «cioè»? È l’uomo che si mette subito nella posizione di chi ha il torto, perché avvezzo a tremare dinnanzi al più forte, il quale piglia l’aria di superiore mentre egli piglia l’aria d’inferiore; quello ha il «piglio minaccioso ed iracondo», ed egli risponde «con voce tremola»; quello ha il tono di accusatore ed egli si scusa; quello considera il voler fare il matrimonio di Renzo e Lucia come una colpa, ed egli dice: — «Fanno i loro piastricci fra loro, e poi... poi, vengono da noi come s’andrebbe ad un banco a riscuotere» — . Don Abbondio dunque è già in quella posizione. Analizziamo ora psicologicamente questo fatto.
Questo fatto è solamente «coscienza della propria debolezza»?
No, esso è qualche cosa di più.
L’uomo infatti può essere cosciente della debolezza propria, ma, se ha un po’ di polso, misura il pericolo, lo affronta, lo gira, e quando sente ch’egli è inferiore ad esso, lo subisce con dignità senza abbassarsi. L’uomo coraggioso non è colui che vuole scalare il Vesuvio e prenderlo d’assalto, ma è colui che, come abbiamo detto, sa affrontare a tempo il pericolo, e sentendosi inferiore sa dignitosamente subirlo.