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la scena si prolunga per una pagina: Renzo va sempre più in furia, quelle lo abbracciano; egli contempla Lucia ed esclama: — «Questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!» — . Lucia vuol rabbonirlo ed egli grida:— «Voi, voi! Che bene mi volete voi?» — . E la fanciulla, sempre più spaventata, finisce coll’acconsentire.

Se questa scena la prendeste alla lettera, se consideraste come vera l’escandescenza di Renzo, sarebbe una caricatura. Ma che è invece? È forse una specie di rappresentazione? Renzo sente davvero quello che dice, o fa l’attore? Opera così per calcolo o naturalmente? Ecco un dubbio che si presenta. Il poeta interrompe la narrazione e vi dice: — Non lo so, né forse Renzo lo sapeva — , e fa questa acuta osservazione, penetrando nella natura di Renzo:


        Fatto sta ch’egli era realmente fuor de’ gangheri contra don Rodrigo, e che bramava ardentemente il consenso di Lucia; e quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor di un uomo, nessuno, né anche il paziente, può sempre discernere chiaramente l’una voce dall’altra, e dire con sicurezza quale sia quella che predomini.


        La vera concitazione ci era, ma anche l’esagerazione per far impressione su Lucia. Or che cosa è questo? Il poeta trova un motivo comico nella esplosione tragica di Renzo, questi vi sparisce d’innanzi, e così la rappresentazione tragica perde la sua durezza ideale e vien messa alla portata degli spettatori.

Né solo Manzoni si stacca dal suo mondo, ma di quando in quando, mentre i personaggi operano, egli guarda agli spettatori e si mette in comunicazione con essi. Ricordate allorché don Abbondio, avuta la minaccia da’ bravi, se ne va con le gambe ingranchite; allora Manzoni si volge, come dice graziosamente, ai suoi venticinque lettori, ed aggiunge: — Mentre egli cammina, noi fermiamoci e vediamo chi è don Abbondio — . Questo volgersi agli spettatori crea quella temperatura media di cui l’Italia non ha altro esempio dopo l’Ariosto, se non nei Promessi Sposi.