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Lezione XIII

[LA FORMA DEI «PROMESSI SPOSI» —
DON ABBONDIO]

Siamo giunti ormai al più alto punto della formazione artistica, quello che si dice «genio» o «genialità». È cosa tanto elevata, così inerente al fenomeno oscuro della vita artistica — perché come nella vita reale il fenomeno oscuro è appunto essa, la vita, così anche l’estetica ha la vita oscura, che la scienza dovrà indagare — , che sul principio coloro i quali hanno osservato il fenomeno, l’hanno fatto derivare da qualche ragione miracolosa, chiamandolo «ispirazione», attribuendolo, per esempio, agli dei: «est deus in nobis, alitante calescimus illo»; ad una forza esteriore che ci mette nell’accensione propria del profeta, dell’oracolo, del poeta.

È il solito e facile metodo di spiegare i fatti quando la scienza non è ancora adulta. Io vi mostrai in che veramente consista questo fenomeno, a cui si dà il nome che gli antichi aveano messo a certi esseri intermedii tra gli dei e gli uomini, che aleggiavano tra il cielo e la terra, i genii. L’ingegno, vi dissi, si riferisce all’intelligenza, il genio alla volontà. E l’«io voglio» del poeta, derivante dalla coscienza della forza sovrabbondante che è in lui, la quale vuole manifestarsi. Quando questa forza non c’è, l’«io voglio» è velleità; quando c’è, si sviluppa il desiderio, il bisogno di manifestarla, ed allora è volontà. Non è vero che volere è potere, come volgarmente si dice; è tutto il contrario. Chi vuole senza aver la forza di potere ciò che vuole, può ar-