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x. la morale cattolica | 241 |
Guardate con quanta semplicità procede l’azione. Da una parte Renzo, Lucia, Agnese; dall’altra don Rodrigo, i bravi, la borghesia; mediatori tra essi don Abbondio e padre Cristoforo. Ma l’azione non rimane in Lecco. L’orizzonte s’ingrandisce, ritenendo però gli stessi elementi. A Monza, a Bergamo, a Milano, trovate l’istesso ambiente, con più larghi lineamenti, in un modo più elevato, come conviene a grandi città. Mediante quella catena di cui v’ho parlato, avete da una parte don Rodrigo, il conte Attilio, il Conte zio, Egidio; dall’altra, padre Cristoforo, che combatte il barone, ricorre anch’egli alle sue aderenze, trova modo di ricoverare Lucia a Monza.
Questa bella creazione va in ultimo a metter capo nella stessa opposizione, in due grandi personaggi, grandi per istruzione, volontà, efficacia, uno rappresentante il prete, l’altro rappresentante il barone: Federigo Borromeo e l’Innominato, il difensore e l’oppressore. La lotta finisce come deve finire nel senso cattolico. L’Innominato non è vinto materialmente, anzi è più forte materialmente: è vinto dall’amore del cardinale Federigo, è vinto dalla voce soave di Lucia, vinto da quell’elevata posizione morale che innanzi a lui mostra Federigo. Non è il peccatore ucciso, è il peccatore convertito. L’ultimo risultato di questa storia è dunque la conversione d’un mondo reo in uno
16 — De Sanctis, Manzoni. |