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236 | lezioni |
questo senz’alterare la verità positiva, anzi in modo che essa ne sia illustrata.
Or vi pare possibile inquadrare nel secolo XVII una morale così pura, come la concepisce Manzoni, libera dall’esagerazione del suo principio, da quel materialismo della sua fine? Come trovare elementi perché quell’ideale stia in quel secolo senza dissonanza, senza che paia parto della fantasia, senza che paia messo a forza in un mondo sì differente? Che cosa è infatti il secolo XVII? Queste domande se le faceva egli stesso. — Che cosa è quel secolo?
Ve lo dirò in poche parole. Politicamente è la dominazione spagnuola in Italia, dura soprattutto in Lombardia, senza che gl’italiani avessero, non dico il concetto dello Stato, ma il concetto stesso dell’indipendenza locale; senza che sentissero l’umiliazione dell’essere soggetti allo straniero, perché il concetto di nazionalità non era ancor sorto. Come società, è il regime feudale in tutto il suo fiore: in ogni paesello è il barone, coi suoi bravi, le sue oppressioni, in modo da togliere ogni libertà alla borghesia e al popolo.
E che è quella borghesia? Essa è mezzanamente istruita, riposa più sugli studi classici che sul mondo contemporaneo e vivente, troppo debole verso quel regime feudale, servile, corrotta, ipocrita. Essa è la mente che serve di strumento al barone e ai suoi bravi. Che è il popolo, la plebe nel secolo XVII? Ve lo diranno le parole con le quali Sallustio caratterizza il tipo immortale della plebe, con quella sua penna che è scalpello: «prona et ventri oboediens»; prona e ubbidiente al ventre. Se le manca il pane, tumultua; se saziate la sua fame, s’ammansa!
Sono questi elementi in cui può entrare l’ideale di Manzoni? Pure, egli ve lo pone, e in modo da mantenere non solo la purezza della sua poesia, ma essere ancora d’accordo con questi elementi corrotti.
In tutt’i secoli corrotti sonovi certe parti di uno Stato, poste a mo’ d’esempio tra i monti, presso i laghi, nel contado, dove la corruzione e la depravazione morale giungono all’ultimo. Perciò