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i. il mondo epico-lirico di manzoni | 15 |
poter cancellare dalla mesta faccia le memorie della terra. Anzi la poesia è lì, in quelle memorie, in quel terrestre che si pone e si afferma nel momento del suo sparire. E sarebbe uno strazio, accompagnato con la disperazione e la bestemmia, se intorno alla morente non aleggiassero le immagini di una seconda vita. Questo antagonismo così drammatico i nostri antichi rendevano sensibile con quella loro battaglia dell’angiolo buono e del cattivo intorno al letto della morte. È un grottesco che cercava allora di rivenir su, come elemento romantico. Ma il fantastico è stato sempre rejetto da un poeta così misurato, e sotto pretensioni romantiche plastico come un classico e preciso come un moderno. Qui è il coro, celesti voci di sacre suore, che prega per la morente e accenna alle sue ansie, a’ suoi terrestri ardori, con un riserbo e un pudore verginale; la frase contenuta liba appena gli oggetti, e pare un casto velo su quelle memorie. L’amore terrestre nelle labbra del coro riceve una prima trasfigurazione, la sua consacrazione; lo senti sparire a poco a poco secondo che la preghiera va innanzi, insino a che nell’immagine del tramonto hai la compiuta fusione di tutti gli elementi, e la morente, e le sacre Vergini, e il Cielo sono una sola anima, una sola armonia.
Questo mondo lirico è sostanzialmente epico, anzi è la vera epica, quel veder le cose umane dal di sopra, con l’occhio dell’altro mondo. Nelle poesie eroiche ci vuole l’Eroe; ma nell’epica il vero eroe è di là dalla storia, innanzi al quale ogni eroismo terreno è ombra e polvere. L’infinito ricopre della sua vasta ombra ogni grandezza. Questo concetto rende altamente originale il Cinque Maggio, composizione epica in forme liriche. Molti credono che l’ultima parte ci stia, come appiccata, quasi appendice, di cui si potrebbe far senza. Altri, facendone una quistione di quantità, la trovano troppo lunga. E non vedono che quella parte non è un prodotto arbitrario e sopravvenuto nell’immaginazione, ma l’apparenza ultima e quasi la corruscazione del concetto, di ciò che è vita intima di tutto il racconto. In effetti in questo mondo epico l’individuo o l’eroe, grande ch’ei sia, e sia pure Napoleone, non è che un’«orma del Creatore», un