lirica del Medio Evo, è Beatrice e Laura, visioni e fantasmi nella vita terrena, divenute vere persone poetiche nell’altro mondo. Figlia di questo mondo mistico è l’Ermengarda, creatura appena abbozzata, più simile a fantasma che a persona, intorno alla quale rugge la tempesta, mossa per lei, mentr’ella si leva su, con gli occhi al cielo. Niente potea meglio ritrarre quel mondo feroce e sconvolto della barbarie, con le sue chiese e i suoi conventi, co’ suoi angioli e i suoi santi. Nello sfondo del quadro vedi sempre su quelle agitazioni barbariche Ermengarda, la trasfigurazione della morte, quasi un risvegliarsi dell’anima alla vera vita. Questo sentimento della vanità delle cose terrestri, «omnia vanitas», nel maggiore eccitamento degli odii umani, questo paradiso di pace e di obblio che ti fluttua sul capo tra’ ruggiti di età ferine, è la più bella concezione della poesia in questo misticismo redivivo. L’antagonismo è ancora più drammatico, perchè si agita nell’anima stessa della morente, dove le rimembranze del tempo felice nutrono l’ultimo avanzo degli ardori terrestri, e generano uno strazio raddolcito dalla preghiera e dalla speranza. Rinasce la malinconia, quella soavità nello strazio, quel cielo nella terra, quel paradiso nell’inferno, di cui si vede un preludio appena indicato e senza carattere ne’ versi amabili del Pindemonte. Qui la malinconia ha il suo carattere, è il naturale effluvio di tutto un mondo poetico. Ed è di una chiarezza italiana, avendo la sua base non in quel vago de’ sentimenti e dei desiderii, che fu detto romanticismo, e di cui vedi le fluttuazioni e le ombre nelle melodie del Lamartine, ma in un concetto ben determinato del nuovo mondo poetico, in quel lievito del terrestre anche tra le gioje celesti. Ermengarda morente, nella cui immaginazione si volve come un fantasma la regina cinta la chioma di gemme, amata e amante, è non meno interessante di Laura, che desidera in cielo l’amato e il suo bel velo. È un terrestre sparente, a quel modo che Ermengarda medesima è una creatura sparente che ti vive innanzi nel momento appunto che muore. È uno sparire come un bel tramonto di sole, nunzio al colono di più sereno dì. E quel dí più sereno visto in lontananza inviluppa la figura del suo manto di porpora senza