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periore a quello del Carmagnola — perché per maneggio di verso è difficile concepire qualcosa di piú perfetto — , e ciò nondimeno, quando l’organismo non c’è, o è viziato e manca lo svolgimento, voi dite: — È bello, ma non si muove, ci manca quello spiritus intus alit del poeta — .

I pregi che nota Goethe nascono da una intelligenza di ordine superiore. Questo saper bene congegnare un insieme, il mettere d’accordo le parti, il saper trovare certi contrasti nella distribuzione delle scene, il concepire le gradazioni de’ caratteri — sono finezze che vengono dall’intelligenza ma non da ispirazione artistica, non sono la creazione. Anche un poeta mediocre può dare tutte queste parti, eppure farà sempre un lavoro mediocre, perché gli manca la potenza di dar la vita.

Ho voluto trattenervi con Goethe perché vi avvezziate ad esaminar bene un lavoro prima di dame giudizio.

Ora, la tragedia rappresenta fatti del secolo XV, e questi fatti debbono essere messi innanzi al popolo italiano del 1816, perché la tragedia, pubblicata nel 1820, fu concepita in quell’anno. Quegli avvenimenti si presentano all’immaginazione di un uomo che viveva nel 1816.

Manzoni ha voluto fare un miracolo. Ha detto a se stesso: — Mi sforzerò di cancellare la coscienza del mio pensiero e del mio secolo. Con queste cronache innanzi, mi getterò in que’ tempi, e scarterò dal mio lavoro ogni elemento che non sia reale, storico — . Ma come può egli non dare a quella cosa che contempla una parte del suo cervello, del suo modo di concepire e di sentire? Quale impressione quella vita ignobile del secolo XV dovea fare su lui? Era Manzoni sol quegli che da giovane amava Alfieri e le idee del secolo XVIII, e nutriva amore di patria e di libertà, e giunto alla maturità gettava via tutti questi elementi terreni e poneva il suo centro in un’altra vita, in un altro mondo? Voi avete conosciuto finora il poeta degl’Inni, dell’Ermengarda; che innanzi a Napoleone grida alla fede:

      Bella immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza;