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Lezione V

[LA TRAGEDIA ALFIERIANA
E LA TRAGEDIA MANZONIANA -
«IL CONTE DI CARMAGNOLA»]

L’ideale lirico che finora abbiamo esaminato negl’Inni, nell’Ermengarda, nell’Adelchi, nel Cinque Maggio, è, come avete visto, l’ideale dell’«ultim’ora», l’ideale della morte. Quando il poeta esce dalla sua generalità lirica, quando vuol trovare una situazione per incarnare il suo ideale, vi presenta la morte, Adelchi che muore, Ermengarda che muore: Napoleone stesso, quando all’ultimo comparisce quell’ideale, è nel momento della morte.

Chi vuol raffrontare questo contenuto cristiano redivivo con lo stesso contenuto qual è nel Medio Evo, vede subito la differenza. Lì l’ideale non è solamente il frate, il convento, il santo, 11 mistico; ma penetra in tutt’i recessi della vita, a cominciare dal papa vicario di Dio e dal re mandatario di Dio. E capite perché allora possa comparire la Divina Commedia, la quale non è che l’altra vita in cui si riflette la vita terrena, storica; non in dissonanza, ma di accordo e nelle istituzioni e nel concetto morale.

Al contrario Manzoni non trova l’ideale se non innanzi alla tomba, e invano finora lo abbiam veduto sforzarsi di farlo penetrare in tutti gli stadii della vita. L’ha tentato con l’Adelchi e non è riuscito, l’ha tentato con l’Ermengarda e ne è venuto fuori un Coro; ma la donna idealizzata a quel modo non ci è.