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menti, tra le grida di gloria, vede lì per la prima volta morire il giorno tacitamente: vede il tramonto taciturno di un giorno inerte, mentre non ci era inerzia per lui. Ecco il suo martirio!


Chinati i rai fulminei...

Guardate alla scelta degli epiteti: quegli occhi che fulminavano, ora sono chinati; ci è l’antitesi non cercata, ma propria delle cose.

Non vi parlo di quell’onda di memorie che lo assale, tutta una battaglia rappresentata per via di sostantivi e di aggettivi: tutto è succo in questa poesia.

Andiamo ancora un po’ innanzi. Quando una poesia è indovinata, tutto è indovinato. Il metro del Cinque Maggio è già italiano, ma ricreato, rifatto dal Manzoni. Che cosa sono queste strofette di sei versi? e in sei versi sempre condensata una serie di avvenimenti che dà l’effetto di un quadro? È il verso alessandrino, il verso francese, il doppio settenario, il verso di quattordici sillabe divenuto italiano e chiamato martelliano. Ma il verso francese si scrive intero e qui è diviso in due. Qual’è la differenza? Il verso alessandrino è stucchevole per la sua uniformità e cantilena e cascaggine; in Italia è riuscito solo nel genere comico, come l’ha usato Goldoni; i Francesi lo adoperano nella poesia seria, anche nell’epopea.

Manzoni in questo alessandrino getta uno sdrucciolo, ecco la novità: uno sdrucciolo che passa rapidamente sopra il suo complemento per dar la mano all’altro verso sdrucciolo: non potete fermarvi in questo accavallarsi di sdruccioli, dovete andare fino alla fine.

Vedete:

      E ripensò le mobili
Tende e i percossi valli...

Appena viene quel «mobili», tutto il resto ve lo mangiate, e correte all’altro verso. Perciò avete nell’ode una corrente continua, la rapidità, il calore, che vi mostrano la rapidità e il calore con cui il poeta ha dovuto concepire quest’ode.