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ii. l’ideale religioso degl’«inni sacri» 121

guardare in faccia al vincitore! E questa è falsa vergogna, è lo spirito mondano: ciò che sembra coraggio è viltà, il coraggio sta nel presentarsi vinto, incatenato, al nemico della tua famiglia, a colui che ha oltraggiato tua sorella — .

Questa è forza di un mondo morale più elevato. Quando si vede vinto, ferito e preso, che cosa domanda Adelchi? Domanda di essere presentato al vincitore, vuole aver la forza di rimaner calmo innanzi a lui, di sentirsi più alto, più felice di lui. Quella scena è di un grande effetto nella lettura. Vedete Adelchi ferito, trascinato nella sala dove è il vincitore freddo e rigido — il barbaro rappresentato in tutta la sua rozzezza — dove è anche il padre prigioniero, che veniva da Carlo a chieder grazia pel figlio, non sapendolo ferito a morte.

Adelchi edifica il suo piedistallo. Sapete che quando l’uomo muore, quando l’eroe della tragedia si avvicina alla morte, il modo come muore è il suo piedistallo. Adelchi, morendo, guarda ciò che gli sta intorno con gli occhi della morte: capisce sé, suo padre, il mondo. Egli gode di morire, perché non ha mai saputo che è venuto a fare in un mondo d’ingiustizie e di violenze, egli che ha un sentimento così alto della giustizia. Muore e dice al vincitore: — Tu, felice, tu pure devi morire — .

Si rallegra col padre perché non sia più re:

— Godi che re non sei; godi che chiusa
All’oprar t’è ogni via: loco a gentile,
Ad innocente opra non v’è — .

— Essendo prigione, non potrai più operare — : la maledizione per Adelchi non è nell’operare male, ma nell’operare.

Non ci è nessun mezzo di far cosa gentile, consona al suo mondo ideale; e gli esce di bocca un ultimo stimmate contro quel secolo:

                                        — ... non resta
Che far torto, o patirlo. Una feroce
Forza il mondo possiede, e fa nomarsi
Dritto... —