|
i ricordi di roberto vérod |
81 |
tanti amori: sdegno contro le perfide,
sdegno contro sè stesso. Un tempo egli si era gloriato di queste sue
passioni, se n’era insuperbito come di altrettante fortune. Ma,
concepite nel male, esse portavano dentro il germe della distruzione; se
null’altro n’era avanzato fuorchè putredine, se egli n’era rimasto
ammorbato, ciò era il suo meritato castigo. Non volendo più commettere
l’errore, sentendo risorgere il bisogno lungamente inappagato e represso
d’un’intima comunione, non potendo più vivere solo, egli ritrovava in
lei la sorella. Andarle incontro, dirle con viva voce la gioia che ella
gli dava, era stato il suo primo impulso; ma non l’aveva obbedito.
L’esagitazione dell’anima era ancora tanto violenta, e alla solitudine
sua veniva tanta consolazione dall’assiduo pensiero di lei, che egli
volle e potè aspettare. Geloso di sè stesso, quasi pauroso di menomare
il proprio sentimento indagandolo, era vissuto in una beatitudine
secreta della quale obliava quasi l’origine. Come al destarsi di lieti
sogni, come quando latenti e ignote energie eccitano e moltiplicano i
sensi della vita, egli trovava in tutte le cose una nuova virtù. Un
giorno finalmente le scrisse. Alla sensitiva creatura, al proprio
sentimento secreto, la troppo vivace espressione vocale non conveniva. E
scrivendole egli contenne l’impeto delle passioni: tacque la speranza,
moderò la gioia, disse soltanto pienamente la gratitudine. Ella rispose.
Gli parlò