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i ricordi di roberto vérod 61

vertiginose erano a lui familiari; nella vita pratica moveva i suoi passi malcerto ancora più di un bambino. Quando tentava di reagire contro quell’impotenza, riconosceva che la volontà era inefficace, che egli restava condannato a una vita infeconda. Nato al confluente di tre civiltà, da una razza nella quale troppi elementi etnici si erano confusi, sollecitato in vario senso dagli istinti ereditarii e dai concetti acquisiti, sentiva di non poter gustare altre gioie fuorchè quelle dell’arido pensiero.

Aveva vissuto; ma come? Come il visitatore d’un cosmorama crede di trovarsi dinanzi agli spettacoli rappresentati: sapendo che sono dipinti sopra cartone. Egli non credeva alla vita. Gl’insensibili oggetti, le inanimate opere d’arte possono accenderci, pur sempre restando quelle che sono, fredde, mute, inerti: così egli aveva amato viventi creature. Ma dove il sentimento, non che essere ricambiato dalle cose, non si può neppure esprimere ad esse, da creature a lui simiglianti egli aveva un tempo sognato d’esser compreso; e poichè mai il suo sogno, il suo bisogno era stato appagato, un moto di superbia lo aveva persuaso d’avere un’anima diversa dalle comuni, di valer più che gli altri. La sua superbia era stata punita con la spaventosa solitudine che lo aveva circondato. Più triste della solitudine un’ultima persuasione gli aveva dimostrato che, pur valendo presso a poco