illuminati da un riso di gioia, da un sorriso di scherno. «Ah, voi
credete?... Voi proprio credete che io volessi morire?... Come lo avete
creduto?... Portate via l’arma! Non la morte, ma la vita e la gioia mi
aspettano... Andate, lasciatemi: egli ora verrà!...» Anch’io mi guardai
intorno, sgomento; la mia mano armata tremava. E come nello sguardo mio
era una domanda, ella la comprese: «Egli verrà: sono sua!...» La vampa
mi salì più gagliarda agli occhi e alla fronte. «Taci!» le
ingiunsi. — «No, non voglio tacere; non posso!... Io l’amo, sono
sua!» — «Taci!» le ingiunsi anche una volta. — «No, non voglio tacere!...
L’amo, e ti odio e ti disprezzo. Tu m’hai fatto tanto male che avevo il
diritto di prendere finalmente la mia rivincita! Nessuno può
condannarmi!...» — «Taci!» ingiunsi la terza volta. — «No, non posso
tacere! Mi condannino pure: che importa? Tutto l’essere mio ha bisogno
di espandere la gioia della quale è finalmente saturato. Io voglio
gridarla a tutti, voglio a tutti mostrare la felicità che inonda l’anima
mia!...» — «Sei folle!» le gridai. — «Sì, dacchè sono sua!...» No, ciò non
era possibile; se fosse stato vero, se avessi dovuto crederlo, sarei
impazzito io stesso. «Non è vero! Non ti credo!» le dissi. Ella rispose,
attonita, ilare: «Non credi? Come farti credere?... Ascolta, se non
fosse vero, avrei voluto morire? Tu mi hai trovata con l’arma dinanzi,